Grazie a Erika Costa (Erika in Viaggio), siamo stati invitati a partecipare , in quanto blogger insieme a Giuseppina Deligia e su figlio Michele (Bimbo in spalla) al viaggio promozionale/inaugurale del Trenino Verde della Sardegna.
Il viaggio si è svolto venerdì 10 luglio sulla tratta da Palau a Tempio, con partenza dalla stazione vecchia di Palau.
Una delle cose che ci sono subito piaciute è stata che i vertici dell’ARST, nella persona dell’Amministratore Delegato, Chicco Porcu e del Direttore Marketing, Alessandro Langiu hanno messo a disposizione per noi blogger e per alcuni giornalisti l’intera carrozza di coda del treno! Quella di testa era destinata alle Proloco ed alle amministrazioni dei comuni interessati.
Sara e Marco Erika Costa Giuseppina Deligios Michele
Un’occasione imperdibile per scoprire una tratta che ancora non avevamo percorso e cosa molto più importante, per avere un incontro rivelatosi molto interessante con l’AD dell’ARST riguardo a questo straordinario attrattore turistico che è il Trenino Verde della Sardegna.
Apparentemente è solo un treno ed anche vecchiotto, quindi sostanzialmente un mezzo di trasporto popolare, eppure assomma su di sé una serie di caratteristiche che lo rendono qualcosa di unico.
Non mi dilungherò in descrizioni tecniche e anche se amo perdermi nei dettagli di queste macchine affascinanti, mi interessa stavolta parlare un po’ di cosa potrebbe essere dal punto di vista turistico un viaggio a bordo di questo treno.
Cento anni fa
Inizio quindi ricordando che l’anno prossimo, nel 2021 ricorre il centenario del viaggio in treno che il romanziere inglese David Herbert Lawrence fece e poi raccontò in Sea and Sardinia. Il titolo fu inizialmente tradotto come Viaggio in Sardegna e divenne la fonte di ispirazione per il nostro blog. La Sardegna di cento anni fa vista da uno straniero il quale la percorse a bordo di un mezzo che è giunto pressoché intatto fino ai giorni nostri. Sembra incredibile ma il paesaggio di quei luoghi che noi ben conosciamo non sembra sia poi cambiato granché da allora.
Viaggiare a bordo del Trenino verde della Sardegna
Qui tutto è “slow“
Innanzitutto, ci si muove senza fretta, a soli 30 km/h. Il che vuol dire che per fare una tratta come La Palau Tempio ci vogliono alcune ore.
Si viaggia quindi senza pensare alla meta, ma semplicemente ci si fa trasportare attraverso una campagna ancora verdissima, (siamo a luglio ormai) mentre si chiacchiera e si socializza con i compagni di viaggio.
Che poi in questo caso sono anche amici con cui abbiamo già condiviso delle esperienze e in più abbiamo a bordo anche “il padrone del vapore”, cioè l’AD Chicco Porcu a cui porre qualche domanda.
Che il Trenino Verde della Sardegna sia una grande occasione “social” ho avuto modo di raccontarlo quando parlai della nostra esperienza sulla tratta da Mandas a Sadali, proprio sulle orme di Lawrence l’anno scorso.

Prossima fermata: la storia
Ogni tanto poi ci si ferma. Venerdì è successo a causa di uno dei due motori Isotta Fraschini che danno potenza (evidentemente non abbastanza) alla vecchia locomotiva del 1958 in testa al convoglio.
Un piccolo inconveniente che è durato pochi minuti, ma ti fa capire quanta organizzazione è necessaria per far muovere una macchina come questa.
Ci sono molte persone appassionate che ne curano la manutenzione, sempre pronte a spendersi per questi vecchi mezzi, ma stanno pian piano andando in pensione e non verranno sostituite facilmente.
Lungo una tratta come questa quasi ogni stazione, ben tenuta, abbellita con motivi art déco e tutto sommato in buone condizioni è un pezzetto di storia. Ogni stazioncina, ogni cantoniera è un presidio che ci introduce in uno specifico territorio.

La via del Vermentino
Abbiamo attraversato non so quanti chilometri di vigneti, in quella che è la zona di produzione del Vermentino di Gallura DOCG.
Quella del Vermentino di Gallura è finora l’unica DOCG nella nostra regione e durante il viaggio abbiamo attraversato le tenute di molti dei produttori più famosi, peraltro anch’essi attivi nella promozione turistica della Gallura con i programmi di degustazione e l’accoglienza in cantina.

Nell’attraversare gli uliveti che costeggiato il lago del Liscia, sfiorando a pochi metri il giardino di un resort che si affaccia sulle sue acque e sostato presso un inaspettato imbarcadero. Poi saliti a bordo di un caratteristico battello con ruota a pale (finta ma coreografica), abbiamo per qualche decina di minuti navigato sullo specchio d’acqua che rifornisce tutta la Gallura.

Alle stazioni principali, Arzachena, Sant’Antonio, Luras, Calangianus siamo stati accolti dalle Pro Loco dei comuni che attraversavamo. Ci siamo quindi calati nel rito dell’ospitalità gallurese, se non la si conosce posso garantivi che si perde qualcosa di importante.
L’atmosfera è stata un misto di gioia e di speranza perché questo non era solo un viaggio, ma una dichiarazione di intenti, la promessa di un nuovo inizio per un mezzo che quasi un secolo fa aveva portato la modernità.
Una macchina che ora che fa quasi tenerezza se si pensa ai suoi limiti e che invece emoziona come nessuna auto elettrica potrebbe fare.
E allora torno alla domanda che è poi anche il titolo di questo articolo: del Trenino Verde della Sardegna cosa ne facciamo?
Il Trenino verde è come un filo di Arianna
La domanda non ce la poniamo solo noi, ma è evidente che il rilancio di questo servizio è tra le priorità per l’amministratore delegato dell’ARST (la società regionale a capitale pubblico che gestisce il treno). L’AD Chicco Porcu ci ha voluto incontrare ovviamente per mostrarci i suoi asset e così chiederci di raccontare ai nostri lettori questo viaggio. Essendo molto interessato al marketing turistico e all’aspetto mediatico e comunicativo ho trovato interessante la loro apertura verso i nuovi media digitali.
E concordo sul fatto che si può raccontare questo mezzo e metterlo al centro di una storia. Il Trenino verde della Sardegna sarebbe protagonista di una offerta turistica moderna, in un territorio che ambisce a qualcosa di più dei due mesi di infradito e ombrelloni.
Da tempo ho le mie personalissime opinioni sul Trenino verde, in questo viaggio si sono rafforzate e come le ho espresse a Chicco Porcu le ripoterò qui: il punto per me fondamentale è che il trenino non è un mezzo di trasporto, non lo usi per andare da A a B.
È piuttosto, questo treno, come il un filo di Arianna che ti guida attraverso un territorio e una comunità che per un turista straniero (ma anche italiano) può essere davvero difficile da comprendere.
Il percorso della strada ferrata fu disegnato in base alle esigenze economiche di chi voleva raggiungere tutte le risorse disponibili su quest’isola, vista allora solo come miniera (in senso lato). Ha comunque avuto il pregio di unire un tessuto sociale e modernizzarlo, trasformando in ore ciò che prima richiedeva giorni, il tempo del viaggio.

Il trenino adesso con le sue decorazioni anni ’30, con i suoi legni, gli odori e le sue superfici intaccate dal tempo, ma soprattutto i suoi uomini, i ferrovieri, è il racconto vivente di un territorio, un testimone, malandato certo ma che esiste e resiste.
Il trenino è un elemento (non l’unico) dell’esperienza di viaggio perché diventa luogo in movimento in cui si manifestano una serie di momenti sociali che trasformano un servizio di trasporto in una esperienza.
Ci accade per le ragioni che ho accennato prima: da un lato la mancanza di velocità che ci restituisce una dimensione più umana del tempo e dall’altro lo spazio confinato di un vagone che ci restituisce il contatto e quasi ci obbliga alla socialità.

Come in un romanzo giallo di Agatha Christie, siamo tutti sul treno e dobbiamo confrontarci. Questo è bellissimo perché non si è più spettatori di un paesaggio che scorre davanti a un finestrino, ma protagonisti di un racconto di viaggio.
Ci viene restituito il tempo per stare in mezzo ad una natura che l’uomo nei secoli ha plasmato per soddisfare le sue necessità primarie e questa è storia, tradizione e cultura di un popolo.
Viaggiare a bordo del trenino e fermarsi in una tenuta in cui si produce il Vermentino di Gallura, visitarne le vigne e le cantine ci riporta ai nostri nonni che facevano il vino.
In realtà lo facciamo anche noi, ma un viaggiatore che non sa nulla di questi posti ha dalla sua parte un alleato prezioso per capire ed immergersi in questo mondo: il tempo.
Ripartire piano piano e scambiare le proprie impressioni con i compagni di viaggio, magari sentire ciò che ha da raccontarci il capotreno, sono cose a cui non si è più abituati, qui il tempo non manca a differenza della nostra vita di tutti i giorni.
Chi vive quotidianamente il treno da pendolare, amerà questi ritmi lenti.
Il viaggio dipinto
Ecco, io immagino un viaggio in cui ci possano essere delle tappe attraverso la civiltà materiale dei territori: il vino, l’olio, i prodotti dell’allevamento. Quei processi che hanno reso quelle zone ciò che sono e che permettono di ottenere prodotti straordinari e quindi, magari addentrarsi un po’ di più in questi luoghi per carpirne il segreto, ma lentamente senza fretta che il vero segreto è questo, dare a ogni cosa il giusto tempo. E forse un giorno a bordo del trenino è troppo poco per un viaggio che ci riporta indietro alle radici della nostra cultura.
Credo che si possa (e sarebbe bello) fare tappa la sera e restare a cena, bere un buon vino e dormire, poi la mattina esplorare questi luoghi e infine ripartire verso un’altra tappa.
La stessa stazione di arrivo a Tempio Pausania è un gioiello poco conosciuto. Impreziosita dal ciclo di dipinti di Giuseppe Biasi, un racconto per immagini attraverso le regioni storiche di Romangia, Anglona e Gallura. Un omaggio alle attività giornaliere dei Sardi che agli inizi del secolo scorso usavano il treno per gli spostamenti più lunghi: quelli per lo scambio commerciale.

Il treno unendo i territori come un filo, infilandosi nelle anguste gallerie come un ago nell’orbace, tiene insieme ricucendoli, scampoli di una memoria che affascina, sia chi come me abita in questi luoghi e ne ha qualche ricordo infantile, sia chi da paesi lontani ha storie simili e in qualche modo le vorrebbe confrontare.

Il treno quindi, torna ad essere strumento di unione tra le epoche e le culture, quest’idea della ricucitura tra passato e presente mi fa venire in mente Maria Lai e la sua Stazione dell’Arte, luogo materiale, ma simbolico, preso in prestito proprio dalla ferrovia.
Il Trenino verde non è un mezzo di trasporto
In termini pratici io non penso al trenino come un modo per spostare i turisti dalle spiagge all’interno durante la stagione estiva. C’è anche questo e si fa, ma non è la vocazione di questo percorso.
Il viaggio del trenino è perfettamente descritto dai dipinti di Biasi, un percorso fatto di cultura materiale, fatto del lavoro di chi in queste terre ci vive. Immagino un viaggio in cui si possa conoscere da vicino le nostre produzioni, entrando nelle cantine, camminando nelle vigne perfino partecipando alle vendemmie, immagino come potrebbe essere l’incontro tra gli appassionati del vino e una degustazione su una carrozza di legno e ottone con i sedili in velluto rosso, un viaggio nel tempo.
E mentre il trenino viaggia a soli 30 km/h noi dobbiamo essere veloci a cogliere l’opportunità che ARST ci sta offrendo. Dobbiamo creare dei prodotti turistici vendibili e proporli sui nostri mercati di riferimento per le prossime nuove stagioni turistiche autunnali e primaverili. Prodotti esperienziali dove il trenino verde sia il filo conduttore che lega i tematismi dell’enogastronomia e della cultura e li unisca in una esperienza di grande fascino ma soprattutto unica.